Un ‘mix’ di tecniche e stili, dovuto all’impiego di maestranze provenienti da luoghi diversi, un’improvvisa ‘trasformazione’, una leggenda e qualche dubbio sulle sue origini la rendono uno degli esempi più apprezzati e intriganti del Romanico nella Sardegna meridionale. Santa Maria sorge nella periferia di Uta, centro a vocazione agricola distante venti chilometri da Cagliari. Le ipotesi sulla sua costruzione sono due: la prima colloca l’impianto alla prima metà del XII secolo, a opera dei monaci vittorini di Marsiglia, i quali avrebbero realizzato l’ultimo e più compiuto esempio di santuario romanico dei quasi trenta a loro attribuiti. La seconda teoria ‘sposta’ avanti di un secolo la fabbrica - impiantata sulle rovine di una precedente chiesetta a due navate edificata dai monaci -, per via dell’affinità con l’ex cattedrale di Santa Maria di Monserrato a Tratalias e per particolari simboli ‘sparsi’ al suo interno.
La prima menzione documentale risale al secondo XIV secolo e testimonia il passaggio di proprietà dagli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme ai Cavalieri di San Giorgio del Alfama. In realtà, a custodire il santuario fino al XVII secolo furono i francescani. I locali del monastero si estendevano con tutta probabilità sul retro della chiesa, in un’area recintata in seguito usata anche come cimitero. Al centro sorge un pozzo, che doveva essere ‘il cuore’ dell’ormai scomparso chiostro. All’acqua del pozzo la credenza popolare attribuisce proprietà miracolose: si narra di prodigi e guarigioni, tanto che, in occasione della festa di settembre, vi si recavano in pellegrinaggio numerosi ammalati.
La chiesa è edificata in pietra calcarea, forse proveniente dalle cave di Teulada, a pianta basilicale, con tre navate – in origine due, poi ampliata a sud -, e abside semicircolare. L’opera di vari costruttori, francesi, arabi e toscani, è riscontrabile in facciata: di fattura francese sono fianco settentrionale e parte sinistra del prospetto; la scuola toscana risalta nel portone lunettato, nel lato meridionale e nell’abside; di gusto arabo è il fregio che separa i due ordini della facciata. Ogni lato presenta un’apertura: a destra la Porta Santa, in passato aperta esclusivamente durante i giubilei; a sinistra l’antico accesso al chiostro. All’interno noterai due capitelli romani, il primo nella terza colonna a sinistra, il secondo usato come acquasantiera. Osservando esteriormente l’abside scorgerai due simboli: una croce patriarcale e una croce a otto punte, probabilmente la Croce di Malta. In un concio a sinistra dell’ingresso sud, invece, compare una croce ‘patente’ fiammata, di difficile interpretazione: secondo alcuni, non si può escludere che a Santa Maria o nelle vicinanze abbiano gravitato anche i cavalieri Templari.
Dall’arte alla natura il passo è breve, pochi chilometri separano Uta dal Monte Arcosu, dove sorge l’oasi naturalistica del WWF, e dal parco di Gutturu Mannu.