Si adagia nel Campidano centro-settentrionale, vicino alla confluenza di Flumini Mannu e Flumini Bellu, in un territorio argilloso che ne ha caratterizzato storia ed economia. Pabillonis è un centro di quasi tremila abitanti, legato a tradizioni agricole e artigiane, in particolare produzione di cestini e lavorazione della terracotta per dare vita a tegole, mattoni, tegami e sciveddas (conche lisciate e smaltate). Da secoli è noto come bidda de is pingiadas, paese delle pentole: la qualità dei prodotti è garantita da sapienza dei ‘maestri’ ceramisti e qualità delle materie prime disponibili nei terreni paludosi attorno. L’abitato si sviluppa intorno alla chiesa di san Giovanni battista, il più antico fra gli edifici di culto (XII secolo), in stile romanico. La nascita del santo è celebrata a fine giugno, la morte a fine agosto con i tradizionali carrus de s’àlinu (carri a buoi addobbati).
La chiesa con più testimonianze artistiche è la parrocchiale della beata Vergine della Neve (XVI secolo): custodisce affreschi, tabernacolo ligneo del XVI secolo, parte dell’altare ligneo del XVIII e un organo del XIX, oltre a statue e oggetti sacri di valore. La patrona è festeggiata a inizio agosto. Le celebrazioni paesane si aprono a metà gennaio con i fuochi di sant’Antonio abate e si chiudono il 31 dicembre con su Trigu cotu (grano cotto): si passa per le case distribuendo del grano cotto con la sapa diluita nel miele, come augurio di buon auspicio per il nuovo anno.
Nei documenti di pace tra Aragona e giudicato d’Arborea (1388), il paese è citato come Paviglionis e Panigionis, dal latino pavilio (in sardo pabillone), ovvero accampamenti militari a difesa dei confini del giudicato, cui il villaggio apparteneva. In origine l’abitato sorgeva in località San Lussorio, dove oggi affiorano i ruderi del villaggio distrutto dalle incursioni saracene e sorge una chiesetta degli anni Sessanta del XX secolo. Sotto il santuario giacciono resti del complesso nuragico di Santu Sciori, composto da un bastione polilobato, di cui vedrai i ruderi delle torri antemurali, e usato nel Medioevo come area sepolcrale. È testimonianza delle antiche origini del paese, insieme a su Ponti de sa baronessa, ponte romano ancora in piedi. L’età nuragica ha lasciato altre tracce nel territorio: i ruderi dei nuraghi Surbiu e Domu ‘e Campu, e soprattutto il Nuraxi Fenu, a tre chilometri dal paese. Gli scavi hanno portato alla luce cocci di vasi, lanterne e monete romane che testimoniano la frequentazione fino a età imperiale, oggi custoditi nel museo archeologico di Sardara. Il nuraghe complesso, risalente al Bronzo medio (1600-1300 a.C.) e definito dallo storico Vittorio Angius (XIX secolo) “uno de’ più colossali dell’Isola”, si estende per duemila metri quadrati.