Citata in un documento del XIV secolo, sfruttata a fasi alterne nel XVII e XVIII, poi portata al massimo sviluppo e all’avanguardia tra XIX e XX, successivamente abbandonata e infine riqualificata. La miniera di Monteponi è una delle più affascinanti testimonianze della storia mineraria della Sardegna: nel corso dei secoli ha visto succedersi proprietà e attività, sviluppandosi fino a diventare uno degli impianti estrattivi principali in Italia, con edifici moderni e strutture all’avanguardia (per i tempi), fino all’irreversibile crisi e alla chiusura. Oggi il complesso minerario a pochissimi chilometri da Iglesias è uno dei siti compresi nel parco geominerario della Sardegna, nonché tappa del cammino minerario di santa Barbara. In pratica, da alcuni decenni, ha iniziato una nuova vita come sito, tra i più affascinanti e meglio conservati, di archeologia industriale.
Le origini dell’attività mineraria nell’Iglesiente sono probabilmente puniche e romane, ma è durante il controllo di Pisa e della nobile famiglia Della Gherardesca, nel XIV secolo, che appaiono le prime fonti scritte a testimoniarla. Il passo decisivo avvenne cinque secoli più tardi, nel 1840, con la legge degli stati sabaudi, che agevolava l’ottenimento delle concessioni estrattive, che da queste parti erano destinate a piombo, argento e zinco. A partire dalla costituzione della società di Monteponi fu avviato un processo di modernizzazione e sviluppo: si realizzarono le strutture principali, i pozzi Vittorio Emanuele II e Sella – collegati dalla galleria Villamarina -, nuove laverie, l’elegante palazzina Bellavista, sede della direzione realizzata nel 1865, e una linea ferroviaria che collegava la miniera con Porto Vesme, scalo portuale vicino a Portoscuso. Il villaggio di Monteponi arrivò a ospitare fino a mille operai: sorsero ospedale, scuola, asilo e chiesa. Nella seconda metà del XX secolo, costi insostenibili dell’energia elettrica, impoverimento dei minerali e crollo del loro prezzo nei mercati internazionali portarono al definitivo tramonto della produzione. L’inevitabile chiusura definitiva risale ai primi anni Novanta.
Vista da lontano, Monteponi ti sembrerà un villaggio fantasma, ma aggirandoti tra impianti e macchinari industriali entrerai nella dimensione che aveva assunto il laborioso centro minerario tra XIX e XX secolo. Dal palazzo Bellavista, caratterizzato da una particolare pianta a U e da un giardino terrazzato sul retro, ti affaccerai sulla vallata sottostante. Della galleria Villamarina ti resteranno impressi sala dell’argano e montacarichi, mentre, nella sala compressori, noterai la vecchia turbina a vapore.
Potrai proseguire il tour minerario nei vicini siti iglesienti di Nebida e a Masua, attorniati da meravigliosi scenari naturali, in particolare i ruderi della laveria Lamarmora a ridosso del litorale e a breve distanza un gioiello rivoluzionario per l’epoca, la spettacolare galleria di Porto Flavia, con sbocco direttamente a mare, di fronte al pittoresco faraglione Pan di Zucchero.