Si inerpica a 370 metri d’altitudine, in un’area ricca di altopiani a sud del fiume Flumendosa. San Nicolò Gerrei, popolato da 800 abitanti, è il principale centro del territorio omonimo, abitato dal Neolitico e con tracce di stanziamenti stabili in epoca cartaginese e romana. Allevamento e attività mineraria sono le risorse principali, insieme alle coltivazioni di cereali e vitigni. Il nome del paese deriva dal patrono san Nicola, festeggiato due volte l’anno, a metà maggio e a inizio dicembre. L’esistenza dell’attuale abitato è attestata da fonti documentarie del XIII secolo: è citato come Padule (o Pauli) che rimarrà in uso fino al 1863. Deriva dal latino palus: l’abitato sorse in una conca soggetta a stagnazione e interessata da numerose risorgive.
Il Gerrei, fino a metà XVI secolo, era ricoperto da foreste e chiamato Galilla, nell’Antichità sede dei Galillenses, che nel 69 d.C., come attestato dalla tavola di Esterzili –grande iscrizione bronzea - furono costretti a ritirarsi da questi territori. Sono ritenuti i discendenti dei popoli prenuragici e nuragici, da cui derivano il circolo megalitico di mont’Ixi, i nuraghi Monti Taccu e su Nuraxi, la grande capanna sacra di Forreddus e tre fonti sacre, tra cui su Musuleu ben conservato. Noti archeologi del XIX secolo parlano de su Putzu de santu Iacci, tempio a pozzo a circa quattro chilometri dal paese. Alle spalle sgorgava una sorgente d’acqua raccolta da un pozzo, forse un santuario rivolto alla divinità ‘sanatrice’. Tra i suoi ruderi, nel 1861, fu riportato alla luce il reperto che ha reso famoso San Nicolò: una base di colonna in bronzo con iscrizione trilingue (latina, greca e punica) della metà del II secolo a.C. In origine era forse un altare cilindrico coronato. I tre testi sono una dedica votiva: un tale Cleone rende grazie al dio Eshmun (corrispettivo di Asclepio greco ed Esculapio latino) per la salute recuperata. La presenza a Santu Iacci di ruderi e frammenti di ceramica che vanno da età nuragica a epoca romana e di monete puniche testimonia che la fonte fu in uso ininterrottamente. Oggi non c’è traccia del tempio. Mentre di epoca romana rimangono altri importanti reperti, tra cui un tesoretto di quasi 400 monete coniate tra 117 e 251 d.C. Molte eredità romane furono portate nella Penisola dai Savoia nel XIX secolo. Per esempio, un sarcofago in marmo pentelico riccamente scolpito – vi è rappresentato Apollo citaredo, accompagnato da Atena e circondato dalle nove Muse -, tra i più belli mai trovati in Sardegna. Fu portato prima a Genova, poi, su richiesta di Carlo Felice, trasferito in un castello del Piemonte. A un altro sarcofago accennava nel 1915 il canonico Francesco Lecca. La necropoli da cui provengono sarebbe stata scoperta nel 1932 in località Bingia Manna.