“Non una testa di toro ma una donna partoriente, emblema femminile non maschile”. È una recente teoria riguardo alla natura delle tombe di Giganti che mette in dubbio la classica e indiscussa definizione ‘a protome taurina’ usata per indicare la forma delle circa 800 sepolture collettive di epoca nuragica scoperte nell’Isola. L’affascinante ipotesi coinvolge anche una delle più significative e meglio conservate: sa Dom’e s’Orku, straordinario esempio di architettura funeraria dell’età del Bronzo. Il nome, ‘la casa dell’orco’, ritorna spesso in questa tipologia di costruzioni a simboleggiare e alimentare mistero e timore. Imponente e quasi intatta, la tomba spicca in un leggero rialzo (260 metri), sul versante nord-occidentale dell’altopiano su Pranu o Giara di Siddi, incantevole scenario del piccolo centro della Marmilla, distante poco più di sei chilometri dal monumento.
L’edificio sepolcrale ha struttura megalitica, ossia realizzata con blocchi medio-grandi di basalto scuro, estratti dalle rocce della giara, ben lavorati e disposti in file regolari. Nonostante la tecnica ciclopica, infatti, la tomba è del tipo a filari. Il fronte è a esedra - parzialmente restaurata con un intervento a metà XX secolo -, ampia 18 metri, con andamento curvilineo e un tempo marginata da un bancone sedile, di cui restano poche tracce. La sua particolarità deriva dal fatto che i blocchi che compongono i tre filari di base presentano dimensioni inferiori rispetto a quelli delle file superiori. Al centro si apre la ‘porta’, alta poco più di un metro e sormontata da un poderoso architrave. Nello spazio antistante l’ingresso, si svolgevano i rituali legati al culto dei morti. Il corpo tombale, alto due metri e mezzo e lungo ben 15 , è chiuso posteriormente a semicerchio da una grande abside monumentale. La copertura è fatta da lastre piatte di granito. Grandi pietre, pareti aggettanti e copertura a piattabanda conferiscono alla tomba di Siddi un’impressione di arcaicità e suggeriscono una datazione anteriore rispetto, per esempio, a un’altra celebre sepoltura nuragica del Campidano, is Concias di Quartucciu, fatta di pietre più piccole e coperta a ogiva.
Appena entrato in sa Domu, vedrai sulla sinistra una grande nicchia sopraelevata, interpretata come vano per le offerte funerarie e votive. La celletta richiama analogie con domus de Janas e dolmen, monumenti neolitici e dell’età del Rame. Il pavimento su cui erano adagiati i defunti era un ‘letto’ di ciottoli. Si ipotizza che la camera funeraria, lunga dieci metri a sezione trapezoidale, contenesse fino a 300 deposizioni, accumulate progressivamente. Non è stato rinvenuto, però, alcun frammento osseo, mentre abbondano i resti di corredi funerari, in gran parte ceramici, che fanno datare il sepolcro al Bronzo medio (XVI-XIV secolo a.C.). Gli scavi hanno portato alla luce anche frammenti di una ciotola con scritta neopunica, ceramiche da mensa di epoca romana e settecentesche monete sabaude, che testimoniano il riuso (improprio) della tomba fino a tempi recenti.
La Giara di Siddi, culla di civiltà preistoriche, è un museo a cielo aperto. Al Neolitico finale risale la domu di Scaba ‘e Arriu. L’età del Bronzo è documentata, oltre che da sa Dom’e s’Orku, da una ventina di nuraghi. Il più vicino alla tomba è il complesso Conca sa Cresia, il più suggestivo (ed enigmatico) è sa Fogaia, rientrante nella categoria dei nuraghi ‘a corridoio’ ma che si compone di tre diversi corpi più altri secondari. Da uno strapiombo domina il territorio circostante, immerso tra i lecci e le essenze mediterranee del parco omonimo. L’epoca romana ha lasciato sepolture, resti di abitato e monete. L’altopiano è un viaggio tra preistoria e natura, così come tutto il territorio di Siddi, borgo caratterizzato da strette vie e case ‘a corte’. Nella seicentesca casa Steri è allestito il museo delle tradizioni agroalimentari, che documenta saperi e sapori della Marmilla. Da non perdere sono anche il museo ornitologico della Sardegna e la chiesa di San Michele arcangelo, il santuario romanico più piccolo dell’Isola, con rilievi antropomorfi scolpiti nell’architrave del portale, opera unica nel panorama artistico medioevale sardo.