Con la sua mole, da una collinetta, domina la vallata del Tirso: è uno dei monumenti più grandi e meglio conservati dell’età del Bronzo nel centro Sardegna. Il nuraghe Santa Barbara – omonimo di quello di Macomer – sorge in località Tanca sa Cresia, nel territorio di Villanova Truschedu, piccolo borgo a venti chilometri da Oristano: lo raggiungerai dalla provinciale 9, che passa per l’antico santuario di San Gemiliano, dopo aver attraversato un ponte sul fiume e percorso un breve sentiero a piedi. È un fulgido esempio di struttura ‘a tancato’, costituito da due torri circolari, una maggiore originaria e una minore aggiunta successivamente, raccordate da una cortina muraria che racchiude un cortile, delimitato da pietre conficcate.
Accederai alla torre maggiore attraverso un ingresso architravato e un corridoio che presenta a sinistra una scala elicoidale e a destra una nicchia. Noterai la cura architettonica: i filari di blocchi di basalto e trachite sono sovrapposti ad anelli concentrici che si restringono verso la sommità. La camera interna, di ben sette metri di diametro, è chiusa da una volta a tholos quasi intatta, in cui sono ricavate due nicchie contrapposte. Al centro del pavimento vedrai un focolare, in cima alla parete un’altra scala che conduce a una celletta secondaria. La camera era funzionale a pratiche divinatorie: si può ipotizzare che il sacerdote salisse al primo piano dalla scala principale, in cima entrava in contatto spirituale con la divinità, facendosi pervadere, poi scendeva lungo la scala ‘minore’ per trasferire le volontà divine al fedele. Il Santa Barbara può esser considerato un caso di ‘teofania’: la luce che filtra dal finestrino sopra l’architrave d’ingresso proietta, grazie alla forma dei massi, la figura di una protome taurina (simbolo del dio Toro) dove probabilmente era collocato l’altare. Nel suggestivo effetto luminoso nei giorni di solstizio d’inverno e lunistizio medio-meridionale il popolo nuragico vedeva la manifestazione della divinità. Di fronte alla torre principale c’è l’ingresso a quella secondaria, simile per modalità costruttiva ma molto più piccola, forse un vano di servizio dotato di sei feritoie che permettevano il riciclo dell’aria, usato come forno o fucina per il bronzo. L’edificio è ‘svettato’ in cima, indizio di un cambiamento socio-religioso epocale della civiltà nuragica nell’età del Bronzo finale (fine I millennio a.C.), dovuto anche a un mutamento astronomico, ossia il progressivo inabissamento nel cielo delle stelle del Centauro-Croce del Sud, costellazione verso cui erano orientate le torri nuragiche della metà del II millennio a.C. Era il crollo di un ordine cosmico, in cui avevano creduto per migliaia di anni. I nuraghi furono tagliati in cima per far entrare la luce, atto legato al culto solare del Sardus Pater, che insieme al culto delle acque sostituì la dea Madre, cui invece erano destinati spazi bui. All’esterno del complesso scorgerai le fondamenta di capanne circolari con più vani intorno a cortili, cui si sono aggiunti altri ambienti quadrangolari di epoca romana e altomedievale. Il nome stesso Santa Barbara evoca l’esistenza di un santuario bizantino (o successivo). I reperti del sito sono custoditi nella sala espositiva del nuraghe Losa di Abbasanta. L’area di Villanova è ad alta densità di nuraghi: Crabu, Domingu Porru, Jana, Nuragheddu, Pischina Andria, San Gemiliano, Zoppianu e Ruinas, che è anche il nome del centro storico del paese in ricordo delle rovine di un villaggio romano.