Il nome deriva da tuvu e significa ‘piccolo foro’. Facile intuirne il motivo: resterai stupito da una miriade di trafori nelle rocce calcaree che coprono gran parte dei 18 ettari di Tuvixeddu, che insieme a Tuvumannu, è uno dei sette colli di Cagliari. Qui i cartaginesi decisero di seppellire i loro morti, creando la più grande necropoli punica esistente formata da circa mille tombe ‘a pozzetto’, usate dal VI al III secolo a.C., poi riusate in epoca romana. Il colle mostra una continuità di frequentazione che parte dal Neolitico antico, come documentano reperti in selce e ossidiana databili al VI-V millennio a.C.
La necropoli punica serviva un grande centro abitato che si estendeva dai piedi del colle – attuale quartiere di sant’Avendrace - verso la riva orientale della laguna di santa Gilla. Della ‘città dei vivi’, poi spostata verso oriente rimangono murature con tecnica ‘a telaio’ e pavimenti dove compare la dea Tanit, la principale per i cartaginesi. Nella stessa area era forse localizzato anche il tofet, il cimitero dei fanciulli. Nella parte alta di Tuvixeddu, grazie a passerelle, osserverai le camere sepolcrali - una o più per ciascun sepolcro – che si trovano sul fondo. Erano raggiungibili tramite pozzetti verticali, profondi dai tre agli undici metri, corredati da incavi laterali (pedarole) per agevolare la discesa. L’accesso era chiuso da lastre di pietra e ricoperto di terra per proteggere i defunti inumati e i ricchi corredi funerari. Amuleti e gioielli (pendenti in oro e argento, collane e scarabei), anfore decorate e vasi in ceramica, ampolle dove si mettevano essenze profumate (‘lacrimatoi’), armi, coppette, lucerne, maschere e uova di struzzo dipinte, monete, rasoi, statuette, specie del dio Bes, utensili in bronzo, rinvenuti nelle campagne di scavo, sono oggi esposti al museo archeologico nazionale di Cagliari. Le celle funerarie, in alcuni casi, sono finemente decorate. Nelle pitture parietali, datate IV-III secolo a.C. e quasi uniche nel mondo punico, sono rappresentati elementi floreali, come fregi di fiori di loto e palmette, gorgoni, motivi geometrici e ocra rossa. Di rilievo sono la tomba del Sid, dove è rappresentata la divinità sardo-punica, presente anche nel tempio di Antas (a Fluminimaggiore); la tomba dell’Ureo, impreziosita da un fregio pittorico in cui spicca il serpente Urèo, cobra alato sacro della religione egizia; e la tomba del Combattente con raffigurazione di un guerriero che scaglia la lancia. In numerose altre compare la dea Tanit. In età romana repubblicana e imperiale, la necropoli fu ulteriormente ampliata nelle pendici che danno su viale sant’Avendrace, con tombe caratterizzate da ricco patrimonio decorativo scultoreo e dipinto. La necropoli romana è composta da tombe spesso affrescate di vario tipo: a fossa, a camera, a incinerazione, ad arcosolio (tipiche delle catacombe), colombari e tombe monumentali, tra cui il sepolcro di Atilia Pomptilla, costruito nel II secolo d.C. da Lucio Cassio Filippo in onore della moglie. In base alle iscrizioni incise sulle pareti del pronao Atilia avrebbe offerto in voto agli dei la vita in cambio di quella dell’amato. Nella decorazione noterai due serpenti, simbolo del genius di Cassio Filippo, da cui deriva il nome popolare grotta della Vipera. Tra le altre tombe, spiccano quelle della ruota e di Rubellio.
Il colle è stato da sempre vittima di scempi e saccheggi, sin dal 140 d.C., quando le maestranze romane scavarono qui un lungo tratto di acquedotto, oggi visibile. Già allora il colle era sfruttato come cava. Dopo la distruzione della città di Santa Igia nel secondo XIII secolo, alcuni superstiti si stanziarono alle pendici del colle, sfruttando le tombe come abitazioni. Durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale le tombe furono usate come rifugi antiaerei e, finito il conflitto, divennero dimora di sfollati e senzatetto. Più recentemente, l’urbanizzazione del quartiere ma soprattutto l’attività estrattiva hanno causato la distruzione di numerose tombe puniche e romane. Sino agli anni Ottanta il colle era la cava di una cementeria. I tunnel scavati hanno portato alla luce tratti di acquedotti romani e innumerevoli sepolcri cartaginesi, molti depredati dai tombaroli, altri distrutti da esplosivi. Dell’uso abitativo del colle nel XX secolo una testimonianza sono le ville borghesi, come il caseggiato in stile liberty di villa Mulas. Nel 1997 la necropoli fu aperta al pubblico in occasione della I edizione di Monumenti aperti. Dopo il riconoscimento del colle come parco archeologico e naturalistico, dal 2014, la necropoli è visitabile tutto l’anno.