La sua sobria e armoniosa architettura è teatro de sa promissa, suggestivo rito dell’Antico Sposalizio selargino: gli sposi vergano su una pergamena una promessa d’amore, conservata per 25 anni in una teca in vetro. Non ci sono attestazioni documentali sulla fondazione della chiesa di San Giuliano ospitaliere, protettore dei viandanti, uno dei primi edifici sardi in stile romanico-vittorino, ma certamente nacque tra fine XI e inizio XII secolo e fu rimaneggiata nel XIII. Secondo tradizione, prima parrocchiale di Selargius, sorge nel cuore della città dell’hinterland di Cagliari, a pochi passi dall’attuale parrocchiale della Vergine assunta, costruita nel XVI secolo, e dalla torre dell’ex distilleria di Si ‘e Boi, oggi parco culturale. Mentre la chiesa di San Lussorio, altro gioiello architettonico romanico, è in periferia.
San Giuliano è un piccolo scrigno, con i suoi 115 metri quadri è forse la chiesa a tre navate più piccola della Sardegna. Il suo fascino arcaico cattura al primo sguardo: è racchiusa in un cortile con giardino, entro cui è inclusa anche casa Collu, attualmente custode di un grande e bellissimo dipinto del 1785, in origine realizzato per la parete di fondo della chiesa. La tela barocca raffigura la Vergine col bambino tra gli angeli che porge il rosario ai santi Giuliano e Domenico. In basso appaiono quattro confratelli in saio bianco e mantelletta nera, tipici della confraternita della Vergine del Rosario, che da oltre quattro secoli custodisce l’edificio e organizza le varie celebrazioni: per il santo (9 gennaio), per la Purificazione, per la Vergine del Rosario e, la seconda domenica di settembre, per l’Antico sposalizio.
Nel corso dei secoli la chiesetta ha subito aggiunte e adattamenti. Durante il restauro di fine XX secolo, sono state trovate sotto il pavimento due sepolture medioevali con corredi funerari: le vedrai coperte da spesse lastre di vetro. La facciata in pietra è arricchita da un campanile a vela e preceduta da un portico a tre arcate, aggiunto tra XVI e XVII secolo e poggiante su colonne di spoglio: il richiamo è alle lollas (loggiati) delle case campidanesi. La propensione al riuso è caratteristica della chiesa: anche le ‘tozze’ colonne dell’interno, reimpiegate, sono una diversa dall’altra per materiali (marmi, granito e calcare) ed elementi compositivi, rispecchiando il gusto romanico per asimmetrie e forme imprecise. Al centro della facciata si apre il portale, architravato e sormontato da una lunetta, alla cui base risaltano due protomi: una testa di bue e una d’ariete. Sul lato sud-occidentale, in alto, noterai un concio che riproduce un uomo trigambato (trescambas), simbolo di fecondità nei riti pagani bizantini. L’aula è a tre navate, scandite da pilastri, con copertura lignea a capriate nella navata centrale, a falde in quelle laterali. L’interno si conclude con un’abside semicircolare, scandita all’esterno da lesene e archetti. Tra i tesori custoditi dal tempio, rimarrai rapito dalla dolcezza espressiva della Vergine de s’Incresciu (purificazione), simulacro ligneo interamente scolpito, rivestito di stoffe e con parrucca di capelli veri. Da ammirare anche il crocifisso del XVI-XVII secolo, rappresentato secondo la tradizione del ‘Cristo doloroso’ gotico, l’ottocentesca statua lignea di San Giuliano a cavallo, in veste di soldato romano, e l’acquasantiera di marmo del 1664.