Si adagia su una sponda del fiume Coghinas, addossato a colline che delimitano una fertile valle alluvionale, dove si coltivano intensivamente vigneti e carciofeti, sua principale risorsa. Santa Maria Coghinas è un centro di mille e 400 abitanti a pochi minuti dal golfo dell’Asinara, frazione di Sedini sino al 1960 e poi di Valledoria sino al 1983, anno in cui divenne Comune autonomo. L’attuale abitato fu ripopolato nell’Ottocento da famiglie di pastori galluresi, dopo che il borgo medioevale era stato abbandonato nel XV secolo: ecco perché sono ‘vivi’ lingua, usi e costumi galluresi, nonostante il paese rientri nell’Anglona. Il nome del paese deriva dal fiume e dalla chiesetta di santa Maria delle Grazie, in stile romanico con facciata gotica, coeva del nucleo medioevale del paese. All’interno ammirerai la statua della Vergine, portato in processione durante le celebrazioni del primo maggio. Ben conservata è anche la piccola chiesa romanica di san Giovanni.
Una fitta coltre di macchia mediterranea e sughere ricopre il paesaggio attorno al Coghinas. Qui vivono aironi, falchi pescatori, pernici e tartarughe d’acqua. A pochi passi dal paese, dove il fiume crea un’ansa, ai piedi di un colle granitico, affiorano le terme di Casteldoria, famose per qualità terapeutiche sin da epoca romana e oggi rinomato centro termale. La temperatura delle acque salso-bromo-iodiche oscilla tra 40 e 70 gradi. In cima allo stesso colle, detto Monti di lu Casteddu, incorniciati da rocce dal colore rosso vivo, si ergono i ruderi di Castedoria, fortezza edificata nel XII secolo dai Doria, che aveva forti interessi in zona, specie a Castelsardo. Dalla vetta si domina l’Anglona e la costa, un’area di intensi traffici sin dall’Antichità. Il castello fu protagonista di intricate vicende che coinvolsero repubbliche di Genova e Pisa, giudicati d’Arborea e di Torres e Corona d’Aragona. Le prime attestazioni scritte sono tra fine XIII e inizio XIV secolo: appartenne a Brancaleone Doria, marito di Eleonora d’Arborea, e fu restaurato da Pietro d’Aragona (1354). Passò attraverso molti padroni, sino al lento declino nel XV-XVI secolo e alla demolizione da parte dei piemontesi a fine XVIII. Oggi vedrai spiccare da lontano, ben conservata, la torre dei Doria, con pianta pentagonale e alta oltre venti metri, alcuni tratti delle mura, resti di una cappella e una cisterna per l’approvvigionamento idrico. Restano in piedi anche i ruderi del borgo antico, sorto forse insieme alla fortezza, attorno alla quale aleggiano miti e leggende, molte collegate all’ultimo principe regnante, forse Andrea Doria. Grazia Deledda in un ‘racconto’ (1894), scrisse di un passaggio sotterraneo segreto, scavato tra castello e cappella di san Giovanni di Viddalba, usato per recarsi in chiesa. Il premio Nobel riferisce anche alla conca di la muneta, dove si dice che i Doria battessero moneta. Una storia narra di un esploratore che scoprì una stanza piena d’oro e un’altra chiusa da una porta in ferro che avrebbe contenuto i tesori della famiglia genovese.