Un occhio di luce tiene lontani i naviganti notturni dalle coste segnalando loro il confine estremo tra terra e mare. Mentre di giorno, a bagliore spento, risplende il fascino di luoghi sperduti e selvaggi. Issati su promontori lontani da tutto e su isolette disabitate, i fari della Sardegna sono solitari avamposti, testimoni silenziosi delle storie del mare. Vegliano su acque dai colori brillanti, dove l’aria sa di sale e profumi mediterranei ed è incessante il frastuono di onde che si infrangono sugli scogli. Trasudano emozioni e sentimenti di vita intensa, quella dei loro guardiani, di ieri e di oggi. Raccontano di salvataggi miracolosi e naufragi, di imbarcazioni inghiottite dai flutti, come nell’isolotto di Mangiabarche, a pochi metri dalla costa di Calasetta, nell’isola di sant’Antioco: il nome risale alla fama di aver spesso fatto la sfortuna di marinai e naviganti. Accanto, nell’isola di san Pietro, su una scogliera a strapiombo, detta Capo Sandalo, si erge il faro più occidentale d’Italia. Dalla sua vetta, in cima a 124 scalini a chiocciola, emette lampi luminosi che arrivano sino a 24 miglia di distanza.
La vita in solitudine sui fari diveniva tragica quando infuriavano interminabili tempeste che tagliavano fuori dal mondo le isolette abitate solo da faristi e loro familiari. Sono vicinissime alla terraferma, eppure dovevano apparire lontanissime, in attesa di aiuti che tardavano. Così spesso avveniva all’isola dei Cavoli, a pochi passi da Villasimius. Famiglie stremate e guardiani naufragati nel tentativo estremo di fuga sono oggi solo un ricordo. Nel faro dei Cavoli risiede attualmente il centro di ricerca biologica dell’area protetta di Capo Carbonara ed è uno dei luoghi più visitati del parco marino. Costruito a metà XIX secolo, il faro ha inglobato una torre spagnola di fine XVI. Le sue pareti esterne sono ricoperte da un mosaico di piccole tessere bianche e dai colori cangianti dall’azzurro al viola. Risalendo il litorale orientale, incontrerai poi la splendida e infinita distesa sabbiosa di Costa Rei, chiusa a nord dal promontorio di Capo Ferrato. Ai suoi piedi calette deliziose, in cima, al termine di un sentiero tra fitta macchia mediterranea, una suggestiva torre-faro di undici metri. Sempre sulla costa est, attraversato il golfo di Orosei, scoprirai un altro suggestivo faro che si staglia che chiude la splendida spiaggia di Capo Comino.
Sul decano dei fari sardi, a Razzoli, l’isola più settentrionale del parco dell’arcipelago della Maddalena, i guardiani vivevano da eremiti. La grande luce a guardia delle tormentate Bocche di Bonifacio richiedeva il lavoro di tre fanalisti, che qui abitavano con le famiglie condividendo ciò di cui disponevano, anche l’istruzione dei figli. I loro maestri ‘riportavano’ sulla terraferma il vissuto di bambini e adolescenti che diventavano grandi sulla piccola isola esposta alle intemperie. Emozioni vissute al confine del mondo, le stesse che ancora si percepiscono, visitando altri (ex) fari dell’arcipelago e della costa di fronte: a punta Filetto e la vedetta di Marginetto a La Maddalena; il faro di Capo d’Orso a Palau, le stazioni di segnalazione di Capo Ferro a Porto Cervo e di punta Falcone a Santa Teresa Gallura, dove spicca anche la magia del faro di Capo Testa, meta romantica e rifugio meditativo, riferimento per chi naviga e per chi cerca un luogo di raccoglimento sulla terra. Rimanendo in Gallura, a Golfo Aranci, un sentiero verso la vetta di Capo Figari porta al Semaforo della Marina Militare. È divenuto celebre grazie a Guglielmo Marconi che vi fece installare il primo impianto radio a onde corte.
Solitudine e silenzio. La penisola del Sinis ‘parla’ attraverso i segni di natura e storia antica. Si estende per terra e mare dal faro di capo Mannu a quello di capo san Marco, al quale giungerai a piedi percorrendo un sentiero che passa dalle rovine di Tharros. Le due estremità delimitano il paradiso dell’area marina protetta del Sinis, arrivato a noi intatto: dune di sabbia, candide falesie, spiagge di cristalli di quarzo, oasi naturali abitate da fauna rara e, disseminate ovunque, testimonianze delle civiltà nuragica, fenicio-punica e romana. È un lembo di terra straordinario, come la vedova del guardiano del faro di capo san Marco. L’amore per il marito e la passione per il suo mestiere l’hanno portata a diventare lei stessa farista e allevare nel faro i propri figli. Uno di loro ne è oggi l’ultimo guardiano. A guardia dell’estremo sud della Sardegna c’è uno dei più antichi fari isolani, costruito nel 1850: il faro di sant’Elia, nelle vicinanze della baia di Calamosca. Un edificio a due piani sormontato da una torre cilindrica a strisce bianche e nere. La sua luce si espande sino a 21 miglia, guidando navi e imbarcazioni nel golfo degli Angeli. Vigila anche su un ‘museo a cielo aperto: sul colle sono concentrati cisterne romane, antichi mosaici, gradini scavati nella roccia e una domu de Janas riadattata a usi civili.
Contemplazione, inquietudine, suggestione, meraviglia. È il parco dell’Asinara. Il suo faro si erge solitario nell’estremità settentrionale: Punta Scorno, anche il nome è un po’ sinistro. Mare aperto, luogo esposto alle burrasche. Una torre tonda a tre piani, alta 35 metri, risalente a metà del XIX secolo, domina dall’alto la ‘tavolozza’ di blu, azzurro, turchese e verde, raramente quieta. Tante le storie sul faro: curiosa la vicenda delle tre sorelle Vitello, figlie di un fanalista. In una notte di settembre del 1953 salvarono tre naufraghi, recuperandoli con una piccola barca. La coraggiosa impresa valse loro la medaglia di bronzo al valore della Marina, uniche donne a ricevere l’onorificenza. Nel 1977 l’ultimo fanalista ha chiuso definitivamente il portone di legno del faro. Da sempre è stato testimone del doloroso isolamento dell’Asinara. Prima di divenire parco, è stata lazzaretto, colonia penale, rifugio di guerra, carcere di massima sicurezza, l’Alcatraz italiana. Per decenni anche la vita dei faristi, nel borgo di Cala d’Oliva, andava di pari passo con quella di guardie carcerarie e detenuti. Uno di loro, di giorno, era affidato come aiuto al capofanalista e viveva in semilibertà, assieme alla famiglia dei fanalisti.