Appena appare alla vista, è un tuffo al cuore. La chiesa si manifesta all’improvviso con la sua imponenza su un poggio nella via principale di Santa Giusta in cima a una maestosa scalinata: è un gioiello di architettura romanica, modello di chiese vicine, tra cui san Pietro di Terralba. Sebbene cattedrale della diocesi di Santa Giusta, attiva sino al 1503, nessun documento ne attesta la data di costruzione, dedotta da altri fattori tra 1135 e 1145. Le forme, realizzate sotto direzione di maestranze toscane, sono chiaramente romaniche-pisane, non a caso molto simili a quelle del duomo di Pisa.
La basilica non è stata rimaneggiata nei secoli, conservando la sua bellezza originaria. L’armonioso edificio è lungo 28 metri, largo la metà. È formato da un’aula divisa in tre navate da sette colonne per parte - navata centrale con copertura lignea e navate minori a crociera – e da una cripta sottostante, unica del Romanico sardo tutta in muratura, rettangolare con quattro navatelle, voltate a crociera e divise da colonne nane in marmo. All’interno tre altarini, uno conserva le reliquie delle sante cui è intitolata la basilica: Giusta, Giustina ed Enedina.
La ‘severa’ facciata, costruita, come tutta la chiesa, in arenaria delle cave della penisola del Sinis, è tripartita da un’arcata che inquadra un portale, dove sono scolpiti nel marmo un leone e una leonessa che predano un porco e un capriolo, simboli della vittoria del Vangelo sull’eresia. L’uniformità dell’esterno contrasta la grande varietà delle colonne: sono pezzi di epoca romana riusati, forse provenienti dall’antica città di Tharros. Di diverso ordine (corinzio, ionico e composito) sono anche i capitelli, quasi tutti marmorei, alcuni in granito. Il loro cambio di stile accompagna il passaggio al presbiterio. Così accade anche nella cripta: i capitelli, però, sono in calcare e scolpiti ex novo. Forse il sotterraneo è stato il primo santuario dove si celebravano i divini misteri, indizio che nel IV-III secolo a.C. vi fosse un tempio dedicato a Demetra e Kore. Il territorio di Santa Giusta, in provincia di Oristano, fu sede di Othoca, città fenicio-punica, poi romana, abbandonata nel Medioevo quando l’abitato si concentrò attorno al poggio occupato dalla cattedrale.